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I Grandi precursori dell’Agile: Ferruccio Lamborghini e l’importanza di Deliziare il Cliente

Oggi è diventata una ossessione linguistica: soddisfare il cliente! Ancor meglio: deliziarlo!

Quasi tutti lo dicono, pochi però effettivamente mettono in pratica le azioni che vanno al di là della focalizzazione sullo sviluppo di un prodotto, facendo il salto verso un servizio che veramente “coccoli il cliente” per renderlo consapevole di quanto sta avvenendo e fornirgli una soluzione che vada addirittura oltre le sue aspettative.

Eppure, questa dovrebbe essere la ragion d’essere di ogni azienda, che deve guardare il prodotto come la “volta architetturale del sistema”, consapevole del fatto che da solo non basta a trasformare in un successo anche qualcosa di tecnicamente eccellente.

Un esempio tipico che mi capita spesso di fare è quello del Customer Care: immaginate di aver realizzato un prodotto perfetto, tecnicamente e funzionalmente, ma lo stesso è, per natura propria del dominio del problema che risolve, complicato da usare e non c’è modo di semplificarlo. Lo consegnate all’utente che, probabilmente, si troverà quasi “impaurito” dallo stesso e avrà bisogno di essere guidato nell’uso… chiama il Customer Care… ma sorpresa… vi siete dimenticati di fargli in tempo il necessario training per evitare risposte del tipo “ah…hmm…strano…sarà il suo browser”. Risultato: la qualità percepita del vostro lavoro crolla drasticamente, così come la fiducia degli utenti nella vostra azienda.

Bisogna sempre fare attenzione a considerare una soluzione in tutte le sue sfaccettature e un insegnamento può venirci sicuramente da uno spaccato che sottolinea il pensiero di Ferruccio Lamborghini:

“Se una Lamborghini in qualsiasi parte del mondo ha una qualche problematica, noi agiamo immediatamente. Se ad esempio un cliente, dalla Gran Bretagna, ci comunica che la sua auto ha un guasto, noi partiamo in giornata con un aereo di linea ed un nostro meccanico, provvediamo alla sistemazione e ci scusiamo con il proprietario. Al ritorno, gli inviamo anche una ulteriore lettera di scuse. Quanto ci costa? Ci costa. Tanto. Ma vede, questo è un costo che rende, in quanto il cliente che ha goduto di un servizio come questo, lo racconta a tutti e, raccontandolo a tutti, diviene una pubblicità…”

ferruccio lamborghini

Figura 30 – Ferruccio Lamborghini

L’attenzione è rivolta al cliente, verso ogni singolo cliente, che non può essere trattato come un numero: a chiunque di noi sarà capitato almeno una vota (e siete fortunati se è solo una) in cui, dopo avere atteso invano la risposta di un call center, ed essersi subiti per minuti la solita hit dell’estate, è venuta la voglia di sbattere il telefono contro il muro e fare una disdetta legale del servizio.

Ecco, quando accadono situazioni come queste vuol dire che l’azienda ha perso il faro del cliente e procede nella propria terra del pensiero, immaginando di essere la detentrice della ragione e che sono gli altri a non capire.

Si tratta quindi di mettere al centro la Customer Experience, ovvero:

“la somma delle esperienze, emozioni e ricordi che un cliente ha maturato nella sua interazione con l’azienda in tutte le fasi del customer journey. È il risultato di come il cliente percepisce la sua interazione complessiva con l’azienda” (glossariomarketing.it).

Secondo Bernd Schmitt (prof. di business internazionale nel dipartimento marketing della Columbia Business School, Columbia University di New York) ogni tipo di esperienza offerta dall’azienda coinvolge il cliente in cinque modi diversi, interessando cinque ambiti sensoriali specifici:

  • sense, stimolando la percezione sensoriale;
  • feel, coinvolgendo i sentimenti e le emozioni;
  • think, sollecitando i processi cognitivi di apprendimento;
  • act, spingendo il consumatore ad assumere determinati comportamenti; 
  • relate, basandosi sulle interazioni e le relazioni sociali.

Una singola esperienza di prodotto, se ben fatta, riesce a presidiare tutti questi ambiti e a soddisfare il cliente sotto diversi punti di vista.

Esiste un ulteriore livello che spiega come mai, a parità di prodotto o anche in caso di inferiorità, si predilige sempre un certo brand piuttosto che altri: si tratta della Brand Experience. Secondo un report di KPMG del 2017, la Brand Experience, si fonda su sei caratteristiche:

  • personalizzazione: se il brand offre un’esperienza unica per ogni cliente, è più facile creare con lo stesso un legame forte e duraturo;
  • integrità: è fondamentale che i consumatori si sentano sicuri nell’affidarsi al brand, poiché esso appare credibile e degno di fiducia;
  • aspettative: per creare una brand experience significativa, l’azienda deve tenere conto di quelle che sono le aspettative dei clienti e nello stesso tempo deve alimentarne di nuove (che ovviamente sa di poter soddisfare);
  • risoluzione: anche le esperienze più semplici se fornite dal brand devono apparire come accessibili, rilevanti e memorabili;
  • tempo e impegno: il consumatore deve avere la chiara sensazione che il suo tempo per il brand ha valore e che quindi quando decide di spenderlo con lo stesso, la controparte è attenta a fare in modo che i processi siano semplici, rapidi e senza sprechi o azioni ripetute;
  • empatia: un brand deve capire e sapere esattamente quali sono le aspettative e le sensazioni di un consumatore, in modo tale da creare una relazione profonda con lo stesso.

brand experience

In un mercato sempre più esigenze e alla ricerca di innovazioni continue, paradossalmente, vince che si ferma a capire ed osservare realmente il cliente, chi ne coglie le sfumature ed è in grado di conquistarne l’ammirazione e la fiducia. 

Questo fa la differenza di quei marchi che non per forza propongono la soluzione più avanzata, ma che riescono a cogliere gli aspetti intrinseci del desiderio di una persona eccellendo nel farlo sentire sempre e comunque al centro di tutto.

L’Agile e Lean sono pieni di elementi che supportano la Customer Experience e la Brand Experience, a patto che non li si consideri solo da un punto di vista dello sviluppo, ma li si guardi da più angolazioni mettendo sempre al centro il cliente.

 

Oltre il prodotto, non solo uno slogan, ma anche un libro in cui viene raccontato come Mercedes-Benz ha rivoluzionato il suo approccio alla Customer Experience negli USA.

Stay tuned 

I Grandi precursori dell’Agile: Alfonso Bialetti e l’aroma universale

Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non ha assaporata l’odore generato dalla Moka sul classico fornello di cucina. Se siete tra questi, vi siete persi uno dei più grandi piaceri della vita condensati in pochi semplici gesti: mettere del caffè in polvere dentro una “aggeggio” di metallo, che viene poi avvitato e stimolato adeguatamente con una fiammella… non troppo forte però.

Dietro la genialità della Moka si cela Alfonso Bialetti (con il contributo del figlio Renato), che in una bottega di Crusinallo (Piemonte), in cui crea semilavorati in alluminio, ha l’intuizione che legherà per sempre il suo cognome al caffè, rendendo quest’ultimo una bevanda “per tutti” e non solo per borghesi.

Siamo intorno agli anni 20 e Bialetti viene ispirato da alcune lavandaie che fanno il bucato utilizzando una specifica tipologia di lavatrice: la “lisciveuse” (così chiamata per la “liscivia”, un detersivo un tempo molto diffuso soprattutto per la sua economicità).

 

moka bialetti

In questa lavatrice era presente una sorta di caldaia in cui venivano inseriti i panni, l’acqua e il detersivo con un tubo, la cui estremità superiore era forata. Giunta a ebollizione, l’acqua risaliva lungo il tubo (nel quale si raffreddava e ridiscendeva) sciogliendo la liscivia, che così poteva spargersi meglio sugli indumenti da lavare.

Una intuizione inaspettata, lontana in apparenza della propria attività, che ha creato un business e trasformato per sempre le abitudini di milioni di persone.

Come dice Eric Rise

            “Entrepreneurs are everywhere. You don’t have to work in a garage to be in a startup.”

a patto che si abbia la capacità di guardare il mondo da diverse angolazioni.

Ed ecco il gancio per tornare nel mondo dell’Agile: la Diversity, ovvero la capacità di considerare le cose da prospettive diverse e secondo diverse opinioni, aspetto che ogni membro dell’organizzazione dovrebbe contribuire a fare, arricchendo le discussioni e le azioni con una moltitudine di colorazioni che altrimenti verrebbero immancabilmente perse.

Si tratta quindi di guardare sempre le cose con curiosità, quasi con gli occhi di un bambino, contribuendo allo sviluppo di una Cultura aziendale che sia in grado di anticipare il mercato e sfruttare le opportunità che lo popolano, essendo ognuno di noi interprete unico delle esigenze che si sviluppano al suo interno.

Quando si crea un team di lavoro, si tende a crearlo multi-disciplinare (T-shaped per Agilisti di vecchia ora), il che però viene spesso frainteso con la banalizzazione: “è un team dove tutti devono saper fare tutto”. Nulla di più errato.

Un team multi-disciplinare è un team in grado di rispondere a obiettivi stimolanti e che non guarda ad una specializzazione omologata, ma riesce, grazie alle diverse competenze, esperienze, punti di vista dei propri membri, a creare qualcosa che va oltre le aspettative degli stakeholder, mettendoci del proprio ed andando al di là dei “requisiti”. Si tratta di instaurare una collaborazione win-win che spesso porta gli stakeholder anche oltre i confini della loro idea iniziale.

In fondo, chi aveva bisogno del caffè prima che Bialetti inventasse la Moka?

Per fare questo è ovvio che non si può avere un gruppo di specialisti che la pensano tutti allo stesso modo, ma è necessario che ci siano sfumature diverse per cogliere quanti più elementi possibili e scatenare l’imprenditore che è in noi.

Aspetto abilitante della Diversity, che è sempre utile sottolineare anche se può sembrare una banalità, è il Rispetto:

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo” [generalmente attribuita a Voltaire, ma in relatà coniata da da Evelyn Beatrice Hall]

 

Stay tuned 😛

I Grandi precursori dell’Agile: Adriano Olivetti e la fabbrica sociale

Il nostro viaggio nel racconto dei Grandi precursori dell’Agile di “casa nostra” non poteva che continuare con colui che probabilmente più di ogni altro ha esplorato la relazione tra le dimensioni lavoro-personaAdriano Olivetti.

Prima di continuare è doveroso definire il perimetro di quanto diremo: non c’è alcuna volontà di tracciare un profilo storico-sociale dell’ing. Adriano, né tantomeno addentrarsi in analisi specializzate o similari. Su questo fronte tanto materiale autorevole è stato scritto e raccolto negli anni, grazie anche alla Fondazione che porta il suo nome, permettendo di approfondire puntualmente ogni aspetto della vita privata ed imprenditoriale di Adriano Olivetti.

Quello che farò, invece, è mettere in relazione alcune delle scelte concrete di Olivetti con elementi che sono inglobati in quello che oggi comunemente identifichiamo come mindset Agile, restando così nel perimetro della serie a cui questo post appartiene.

Ebbene, una citazione di Olivetti mi permette di dare il via alla riflessione: “io penso alla fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”.

adriano olivetti penso alla fab

Con questo manifesto ben chiaro, Olivetti sviluppa nel secolo scorso un concetto di impresa che riconosce alle “persone” una centralità forse senza precedenti: non si tratta solo di ottimizzare la produzione, ma di farlo in modo bilanciato in relazione al miglioramento delle condizioni di vita dei sui operai. 

Spesso, sento fare riferimento alle aziende della Silicon Valley e di come la centralità dei propri collaboratori sia fondamentale, tanto da “disegnare” le stesse strutture lavorative in modo tale da favorire un ambiento stimolante.

Ad Ivrea gli stabilimenti Olivetti vennero costruiti principalmente in ferro e vetro, in modo da dare continuità con l’ambiente esterno e realizzare spazi luminosi che rasserenasse le persone, in controtendenza con il design tipico dei capannoni industriali dell’epoca.

E ancora… oggi ci sembra fondamentale poterci ritagliare spazi durante le ore lavorative per migliorarci costantemente (non solo nello specifico dell’attività lavorativa), ma per accrescere la nostra capacità di leggere la realtà che ci circonda nelle sue diverse sfumature, in modo da diventare noi stessi una leva di innovazione per l’organizzazione.

Ebbene, durante le pause, in Olivetti era possibile servirsi di bibliotechediscutere e persino ascoltare concerti, ma la cosa fondamentale era: tutti insieme! Non esisteva una divisione formale tra capi, ingegneri e operai, perché si voleva che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti.

Ed ecco qui un primo gancio per il nostro mindset Agile, e se vogliamo essere più specifici, in particolare rispetto a 2 dei 12 principi del Manifesto:

  • Fondiamo i progetti su individui motivati. Diamo loro l’ambiente e il supporto di cui hanno bisogno e confidiamo nella loro capacità di portare il lavoro a termine.
  • A intervalli regolari il team riflette su comediventare più efficace, dopodiché regola e adatta il proprio comportamento di conseguenza.

Entrambi sono riassumibili in “Make People Awesome”, concetto che caratterizza tutte le accezioni moderne dell’Agile e di Lean.

Si tratta di riconoscere nei fatti, e non solo a parole, la centralità delle Persone, e attivarsi nel concreto per accompagnarle in uno percorso di crescita continuo, dando loro fiducia, rendendole partecipi delle scelte e ascoltandole continuamente.

People and Interaction, ecco la vera essenza. 

Lo ripeterò fino alla noia: l’Agile non è imparare un framework o una metodologia specifica (anche se questo è necessario per svilupparne i processi affini), ma è la capacità di ripensare una organizzazione così come l’aveva immaginata, ma soprattutto costruita, proprio Adriano Olivetti: una parte essenziale della propria vita, in cui il lavoro è l’esaltazione delle capacità del singolo al servizio del gruppo ed in cui il compito dell’azienda è quello di assistere ogni singola Persona nella crescita, non lasciando indietro nessuno.

Questo è il motivo perché negli ultimi anni si parla tanto di Agile People o Agile HR (Human Resource), proprio a rimarcare che il suo compito fondamentale non è quello di “selezionare” persone e concordare il compenso, ma avere la capacità di accompagnare il lavoratore nella sua vita all’interno dell’organizzazione, scommettendo su di lui con un percorso di crescita chiaro e condiviso, che sia di valore per entrambi.

Ecco, se potessimo prendere un pezzettino dell’idea di Adriano per riassumere quanto detto fin qui, potremmo usare la sua affermazione seguente:

«La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura. A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza».

Un’utopia oggi? Beh, non proprio (lo stesso Adriano sminuisce il termine “utopia… finché non lo inizi…”), visto che è proprio quello che facciamo quando iniziamo un “vero” percorso Agile e Lean, ed è anche un pensiero condiviso da diversi movimenti globali come “B Corp”, in cui le aziende si distinguono perché vanno oltre l’obiettivo di profitto, massimizzando il loro impatto positivo verso i dipendenti, le comunità in cui operano, l’ambiente e tutti gli stakeholder.

 

Stay tuned 

I Grandi precursori dell’Agile: Giovanni Borghi e l’efficientamento del Value Stream

Qualche giorno fa Intel ha annunciato l’11esima incarnazione della famiglia Core dei propri processori, Tiger Lake: tante novità e incrementi importanti di prestazioni.

Una cosa però ha catturato la mia attenzione, ovvero l’attenzione all’integrazione dello sviluppo delle varie componenti annesse, cosa che rappresenta per la Casa di Santa Clara un vantaggio concorrenziale che le permette di rispondere alle richieste con soluzioni al top.

D’altronde, anche Apple ha deciso di progettarsi in casa i processori (anche se, attualmente, la produzione manifatturiera è affidata a TSMC che però lo fa secondo le rigide specifiche imposte), abbandonando proprio Intel, con l’obiettivo di realizzare un’unica piattaforma integrata sotto il proprio controllo che dovrebbe proiettare la nuova generazione dei suoi prodotti verso nuovi livelli di performance ed affidabilità.

Sembra proprio che il nuovo trend sia quello di progettare e realizzare i diversi componenti core in casa, in modo da creare ecosistemi “perfettamente” integrati per avere il pieno controllo dell’intera filiera. 

Questa tendenza è assolutamente in linea con il focus di uno degli aspetti fondamentali di Lean, e dell’Agile scaling: l’attenzione all’efficientamento del Value Stream, ovvero dell’insieme di azioni necessarie per portare valore ai cliente, gestendo la richiesta dall’inizio fino al suo completamento. Il flusso inizia idealmente con il concept inziale, passa attraverso varie fasi di sviluppo e prosegue attraverso la consegna e il supporto.

Una delle possibili rappresentazioni astratte del value stream è quella suggerita dal PMI Disciplined Agile toolkit tramite la figura seguente:

da flex 2020

PMI DA Value Stream

Ma come si lega tutto questo con l’idea di azienda di Giovanni Borghi?

Ebbene, intorno agli anni ’60, la Ignis è diventata una vera e propria potenzia industriale, ma si sta progressivamente trasformando in un “assemblatore” di parti realizzate da terzi, perdendo così il controllo sulla qualità delle parti esternalizzate, unitamente ai possibili vantaggi di efficientamento economico.

Borghi decide allora di creare una serie di “società satelliti” specializzate nella realizzazione dei diversi componenti necessari: dalla Imball, per gli imballaggi, alla Isover per le vernici e l’Atea per i termostati.

La regola aurea diventa “tutto in casa”, tanto che, quando si fa riferimento alla produzione delle diverse parti, la ragione sociale della controllata relativa è pressoché sconosciuta e la si indica direttamente con il cognome del responsabile delegato.

In pratica Borghi crea una sorta di “dipartimenti” che la casa madre governa in relazione ad una visione costruttiva complessiva: se qualcosa non funziona correttamente, è immediatamente chiaro dove intervenire (e con chi prendersela… ricordiamoci sempre in che periodo storico siamo), mentre a guidare la produzione dei componenti è il numero di unità complessive dell’elettrodomestico da realizzare, in una sorta di logica pull.

Ora, lungi dal voler ragionare sui possibili vantaggi economici della scelta, così come sui pro e contro della scelta, quello che è emblematico è che Borghi aveva intuito quanto sia necessario l’ottimizzazione complessiva della filiera, andando a tarare gli step annessi in relazione al prodotto finale, e di riflesso sul cliente, più che concentrarsi sull’ottimizzazione spinta della produzione dei singoli componenti. 

In pratica la Ignis adottava un’azione di ottimizzare globale, cercando di rimuovere gli sprechi lungo il flusso di assemblaggio-produzione, sprechi che in Lean sono ben noti come “muda” (o waste). L’azione di Borghi, con il dovuto inquadramento storico-produttivo, è molto simile a quanto accade quando si ragiona in termini di Agile scaling, ovvero quando si comincia a guardare come l’azione end-to-end deve essere “armonica” per mettere il cliente al centro ed evitare che le ottimizzazioni locali creino disfunzioni locali.

Ancora una volta, azioni nate dall’osservazione pragmatica di quanto accade nel mondo reale hanno consentito a figure di spicco del nostro passato industriale di anticipare i tempi e porsi come riferimento internazionale nei rispettivi settori.  Tutto ciò oggi è un vero e proprio mantra: il cliente al centro della propria azione produttiva e non la produzione tarata sul massimo possibile in nome dell’utilizzo estremo delle risorse (umane e materiale) disponibili.

Stay tuned 

I Grandi precursori dell’Agile: Giovanni Borghi e le visite al Gemba della sua Ignis

Lean, Agile, PMBok, attenzione alle Persone, socialità, Valori, sono il pane quotidiano di chi è professionalmente impegnato nello sviluppo di una organizzazione efficiente ed efficace, in grado di competere con le sfide odierne.

Eppure, troppo spesso ci dimentichiamo come tante delle pratiche che oggi diamo per innovative, risultano spesso tali solo perché dimenticate o affogante in una burocrazia che ha tentato negli anni di trasformare le persone in “macchine banali”, senza lontanamente riuscirci.

Rileggendo alcune delle biografie dei grandi pionieri dell’industria italiana, si scopre che i nostri Imprenditori (notare la “I” minuscola non causale) della metà del secolo scorso avrebbero tanto da insegnare a quanti oggi professano soluzioni miracolose provenienti da chissà dove.

Ho maturato la convinzione che può essere culturalmente interessante, se non anche stimolante, raccontare atteggiamenti o episodi dei grandi Imprenditori del passato nostrani che erano Agili prima dell’invenzione dell’Agile. 

Motivo per cui ho immaginato una serie di post, di cui questo è il primo, in cui racconterò delle pillole in merito.

Come primo grande Imprenditore del passato ho pensato a Giovanni Borghi, mr. Ignis, un personaggio probabilmente poco noto ai contemporanei, ma che è stato un esempio di come l’intuizione, la perseveranza e l’impegno costante siano in grado di creare realtà industriali capaci di conquistare primati a livello europeo ed oltre.

Rileggendone la biografia, mi è subito saltato all’occhio un comportamento che, in varie forme e declinazione, spesso, come coach, suggeriamo ai manager di attuare: recarsi negli ambiti operativi, ovvero essere presenti dove le cose prendono forma.

mister ignis

Borghi aveva questa sana abitudine: ogni giorno prendeva la sua bicicletta e si recava nello stabilimento produttivo di Comerio (Varese) dove venivano prodotti i famosi frigoriferi della casa del fuoco (significato di “Ignis”, nome adottato quando la società produceva esclusivamente fornelli elettrici, prima, e a gas, dopo). Il “Cummenda” osservava con attenzione le diverse fasi del processo produttivo, fino ad arrivare a contemplare il prodotto finito, cosa che gli procurava una forte soddisfazione per aver trasformato qualcosa di grezzo, inutile al consumatore finale, in qualcosa che stava diventando fondamentale nella vita di tutti i giorni.

Proprio grazie a questa oculata osservazione sul campo, mr. Ignis rifletteva continuamente su come migliorare i propri prodotti ed i processi annessi, pur essendo impegnato in una espansione quasi senza precedenti per un’azienda del nostro Paese.

Ecco il punto: coinvolgere attivamente i manager, o responsabili che si voglia, nelle attività concrete, fornendo loro una vista di contesto e non da manuale.

Proprio questa è l’essenza del Gemba Walk, in cui le “visite” avvengono regolarmente per osservare, ascoltare e ipotizzare nuove azioni di miglioramento in chiave Kaizen, concretizzando il pensiero Lean secondo cui al miglioramento non c’è mai fine e la perfezione assoluta non esiste.

gembawalking

Gemba Walk

Le origini del Gemba Walk si fanno risalire all’azione nota come Genchi Genbutsu, letteralmente “vai e guarda”, attuata dal papà del Toyota Production System, ovvero Taiichi Ohno.

Si racconta, quasi a mo’ di legenda, che Ohno girasse sempre con un gessetto nella fabbrica e quando qualcosa non gli tornava, disegnava a terra un cerchio e chiedeva al suo collaboratore afferente di entrarci, di osservare quanto stesse accadendo, di prendere appunti e di proporre dei miglioramenti. Ohno obbligava la persona a restare nel cerchio finché non era soddisfatto delle risposte.

Un approccio simile si sviluppa, in modo indipendente, negli anni ’70 in HP ed è noto con il nome di MBWA: Management by Walking About, ovvero management pratico fondato sul contatto diretto stretto con i dipendenti. 

L’acronimo nasce comunque anni dopo, nel 1982, grazie a Thomas J. Peters e Robert H. Waterman che ne parlano nel libro “In Search of Excellence: Lessons from America’s Best-Run Companies”, e sottolineano come, in perfetta sintonia con il Gemba Walk, non si tratti di un’azione di “controllo”, ma di un’azione al supporto del miglioramento continuo.

Ecco il punto: per migliorare realmente le cose bisogna essere in grado di capirne i meccanismi portanti e sporcarsi anche le mani se necessario.

Stay tuned J

PMI Disciplined Agile: l’evoluzione in corso – pt.3

Flex (Flow for Enterprise Transformation) è sicuramente una delle novità più corpose dell’evoluzione di Disciplined Agile.

Può essere visto come l’anima dinamica di DA, in quanto si concentra sullo sviluppo di un Value Streamricamato sulle necessità degli stakeholder, o cliente che sia, abbracciando un mindset chiaramente Lean che suggerisce di concentrati sulla gestione del flusso di lavoro e non su come gestire le persone o il lavoro.

da flex 2020

DA Flex

Flex parte dall’ovvia considerazione che una soluzione preconfezionata non può andar bene per tutti, e che la contestualizzazione è fondamentale per evitare brutte sorprese e resistenze continue: “Fit for purpose” is the greatest measure of “simple.” (la capacità di adattamento allo scopo è la più importante misura di semplicità).

Questo, però, non vuol dire partire ogni volta da zero perché, concettualmente, i passi essenziali per l’implementazione efficace di un Value Stream sono spesso molto simili tra loro, quello che cambia è come vengono implementati singolarmente.

Scopo di Flex è proprio quello di fornire un archetipo che consenta di procedere più speditamente, e sfruttare le forti doti di contestualizzazione di DA per consentire l’implementazione specifica dei vari passi contemplati.

Rispetto alla una prima fase di integrazione (o forse meglio dire annessione, che potete trovare descritta qui), oggi Flex è maggiormente integrato con i (nuovi) Blade di DA, il che lo rende uno strumento molto adatto a creare un’organizzazione “customer centric” che guarda al flusso complessivo di realizzazione di una o più iniziative di business.

Ogni “work center” del Value Stream è associato ad uno specifico Blade che, come abbiamo visto nei precedenti articoli, rappresenta un ecosistema coeso di azioni, relazioni, informazioni e process goal atti a supportare la guided continuous improvement.

Si parte dagli stakeholder per tornare agli stakeholder” è questa la vera anima di Flex.

Lungo il cammino troviamo:

  • Portfolio Management
  • Product Management
  • Program Management (se presenti più team da coordinare)
  • Disciplined Agile Delivery
  • Release Management
  • Business Operation

che non descriviamo di nuovo perché ne abbiamo già parlato, così come i Blade presenti al “centro dell’ellisse” che sono di supporto trasversale, a partire da quello, ovvio, di Continuous Improvement e di Governancepassato per Security, IT Operation e Support.

Una cosa interessante da osservare è l’attenzione posta sul concetto di MBI (Minimum Business Increment), ovvero la quantità minima di valore da costruiredistribuire ed utilizzare in modo che l’iniziativa abbia effettivamente senso dal punto di vista aziendale. 

In tale ottica, Flex spinge a guardare sempre la sostenibilità aziendale di un’iniziativa e non solo il valore intrinseco delle singole funzionalità da rilasciare, supportando un approccio strategico al rilascio continuo.

L’MBI è un concetto interessante e fondamentale per capire cosa mettere in sviluppo, e non va confuso con l’MVP (Minimum Viable Product) che viene inteso da Disciplined Agile nell’accezione originale (Lean Startup), ovvero come la quantità più piccola di lavoro da fare per validare una ipotesi e non l’insieme minimo di prodotto da distribuire.

Stay tuned J

PMI Disciplined Agile: l’evoluzione in corso – pt.3

Flex (Flow for Enterprise Transformation) è sicuramente una delle novità più corpose dell’evoluzione di Disciplined Agile.

Può essere visto come l’anima dinamica di DA, in quanto si concentra sullo sviluppo di un Value Streamricamato sulle necessità degli stakeholder, o cliente che sia, abbracciando un mindset chiaramente Lean che suggerisce di concentrati sulla gestione del flusso di lavoro e non su come gestire le persone o il lavoro.

da flex 2020

DA Flex

Flex parte dall’ovvia considerazione che una soluzione preconfezionata non può andar bene per tutti, e che la contestualizzazione è fondamentale per evitare brutte sorprese e resistenze continue: “Fit for purpose” is the greatest measure of “simple.” (la capacità di adattamento allo scopo è la più importante misura di semplicità).

Questo, però, non vuol dire partire ogni volta da zero perché, concettualmente, i passi essenziali per l’implementazione efficace di un Value Stream sono spesso molto simili tra loro, quello che cambia è come vengono implementati singolarmente.

Scopo di Flex è proprio quello di fornire un archetipo che consenta di procedere più speditamente, e sfruttare le forti doti di contestualizzazione di DA per consentire l’implementazione specifica dei vari passi contemplati.

Rispetto alla una prima fase di integrazione (o forse meglio dire annessione, che potete trovare descritta qui), oggi Flex è maggiormente integrato con i (nuovi) Blade di DA, il che lo rende uno strumento molto adatto a creare un’organizzazione “customer centric” che guarda al flusso complessivo di realizzazione di una o più iniziative di business.

Ogni “work center” del Value Stream è associato ad uno specifico Blade che, come abbiamo visto nei precedenti articoli, rappresenta un ecosistema coeso di azioni, relazioni, informazioni e process goal atti a supportare la guided continuous improvement.

Si parte dagli stakeholder per tornare agli stakeholder” è questa la vera anima di Flex.

Lungo il cammino troviamo:

  • Portfolio Management
  • Product Management
  • Program Management (se presenti più team da coordinare)
  • Disciplined Agile Delivery
  • Release Management
  • Business Operation

che non descriviamo di nuovo perché ne abbiamo già parlato, così come i Blade presenti al “centro dell’ellisse” che sono di supporto trasversale, a partire da quello, ovvio, di Continuous Improvement e di Governancepassato per Security, IT Operation e Support.

Una cosa interessante da osservare è l’attenzione posta sul concetto di MBI (Minimum Business Increment), ovvero la quantità minima di valore da costruiredistribuire ed utilizzare in modo che l’iniziativa abbia effettivamente senso dal punto di vista aziendale. 

In tale ottica, Flex spinge a guardare sempre la sostenibilità aziendale di un’iniziativa e non solo il valore intrinseco delle singole funzionalità da rilasciare, supportando un approccio strategico al rilascio continuo.

L’MBI è un concetto interessante e fondamentale per capire cosa mettere in sviluppo, e non va confuso con l’MVP (Minimum Viable Product) che viene inteso da Disciplined Agile nell’accezione originale (Lean Startup), ovvero come la quantità più piccola di lavoro da fare per validare una ipotesi e non l’insieme minimo di prodotto da distribuire.

Stay tuned J

PMI Disciplined Agile: l’evoluzione in corso – pt.2

Nel precedente post abbiamo cominciato a parlare di come Disciplined Agile si stia rapidamente evolvendo per rispondere sempre più adeguatamente alla sfida di sviluppare la Business Agility all’interno di contesti enterprise.

Dopo aver visto l’evoluzione del toolkit in termini di aree di riferimento, diamo uno sguardo a quelle che sono le novità rispetto ai Process Blade, ovvero i nuovi Blade introdotti e le modifiche apportate a quelli esistenti.

Ricordiamo che i “Blade” sono delle aree di operatività auto-consistenti che interessano azioni specifiche, come ad esempio IT ed HR. Il nome deriva dalla similitudine con i Blade Server (computer server) pensati per essere auto-contenuti e sostituibili all’occorrenza, in perfetta sintonia con il principio “Choice is Good”.

Partiamo dall’evoluzione dei Balde esistenti, sintetizzata dalla figura seguente:

da new blades1

Process Blades evolutions

Come avevamo già accennato nel precedente post, la modifica più evidente è rispetto a DAD che smette di essere un layer e diventa un Process Blade di Disciplined DevOps. La modifica è naturale e dovuta, in linea con l’evoluzione attuale dello sviluppo IT, chiarendo inoltre un punto ambiguo della rappresentazione precedente.

Le altre evoluzioni sono:

  • Governance, frutto della fusione tra IT Governane (leadership, strutture organizzative e semplificazione dei processi) e Control (collaborazione con le aziendali);
  • Information Technology, che raccoglie le specificità del precedente layer DAIT; 
  • Vendor Management, sostituisce e rende attuale le funzionalità di Procurement;
  • Program Management, non subisce modifiche di sostanza (per ora) ma viene spostato a livello di Value Stream, mentre prima era identificato come un lifecycle in DAD;
  • Asset Management, che estende le azioni di riuso a 360gradi, inglobando il precedente Reuse Engineering.

Per quando riguarda i nuovi Blade, abbiamo invece:

da new blades2

 New Process Baldes

  • Research & Development, dedicato alle attività di R&D e in gestazione da oltre un anno;
  • Strategy, basato su Brightlinee finalizzato a supportare gli executive nel colmare il divario tra pianificazione strategica e delivery;
  • Transformation, per il supporto al cambiamento organizzato e fusione dei relativi aspetti di DA, Flex e Brightline.

Come si può intuire molte cose sono in evoluzione e le chiariremo nelle settimane a venire, mentre nel prossimo post daremo uno sguardo all’evoluzione e combinazione di Flex con i diversi Process Blade.

 

Stay tuned J

PMI Disciplined Agile: l’evoluzione in corso

Come più volte ribadito, Il Disciplined Agile toolkit è in continua evoluzione e l’ingresso nella famiglia del PMI ha accelerato questo percorso.

Nel post precedente abbiamo raccontato il mindset con cui oggi esso viene presentato e che ne costituisce il cuore relazionale, grazie ai tre pillar di riferimento: PrincipiPromesse e Linee Guida.

Descriveremo ora come si sta trasformando il DA Poster che rappresenta, di pari passo, lo strumento per inquadrare le strategie di azione nelle diverse aree dell’organizzazione.

Fino ad ora il poster di riferimento è stato il seguente:

da poster

Previous DA Poster

Mentre da poco ne è stato resa pubblica la nuova versione che porta in dote profondi cambiamenti e migliorie:

da poster new

The Disciplined Agile Toolkit

Il perimetro dei diversi layer è stato ridisegnato per meglio descriverne l’animo enterprise di DA e la vocazione di “collante” che da sempre lo caratterizza rispetto all’ecosistema agile e lean in continua espansione.

I nuovi layer di riferimento (frutto di evoluzione, e non rivoluzione) si fondano tutti sul Foundation Layer, andando a mettere a fattore comune tutti quegli aspetti che sono il cuore pulsante del toolkit, allineandolo con il nuovo mindset di riferimento. Per meglio comprendere ciò, si pensi, ad esempio, ai Ruoli che precedentemente erano fortemente concentrati nel layer DAD e sparsi nei diversi Blade, mentre ora sono esplicitati in modo indipendente.

A sua volta DAD non è più un “layer”, ma diventa il Blade centrale del layer Disciplined DevOps, ottenendo due risultati rilevanti: si fa chiarezza sul fatto che i lifecycle non sono blade e si enfatizza che gli stessi non possono più essere considerati in modo separato rispetto all’azione complessiva di sviluppo e deploy.

Il precedente layer Disciplined Agile IT (DAIT) lascia il posto al Value Stream layer, frutto dell’integrazione profonda con FLEX.

da value stream

 DA Value Stream layer

L’obiettivo è quello di focalizzarsi in modo esplicito sul cliente, spostando l’attenzione ad una visione meno incentrata. 

Infine, implicitamente, anche il layer più esterno Disciplined Agile Enterprise evolve di conseguenza, arricchendosi comunque di alcuni nuovi blade e contando sull’evoluzione di alcuni già esistenti.

 

Nel prossimo appuntamento esploreremo proprio come si stanno evolvendo i blade preesistenti e i nuovi blade introdotti.

Stay tuned J

PMI Disciplined Agile: la promessa, la svolta e il prestigio

Non siamo neanche riusciti a terminato il percorso di descrizione di Disciplined Agile, che Ambler e Lines hanno dato vita ad un aggiornamento del toolkit. Come più volte detto, la cosa deve però solo stimolarci, non certo disturbarci, perché significa che il toolkit è vivo e vegeto e si evolve continuamene in chiave kaizen, a piccoli, ma significativi passi.

L’evoluzione è principalmente concentrata nella struttura del toolkit stesso, a partire dalla descrizione del mindset e dal poster. In questo post ci concentreremo sul mindset, dedicando il successivo al poster.

Devo dire che quando ho letto la parte del nuovo libro (libro) che descrive il mindset, mi è subito venuto in mente il film The Prestige, in cui, all’inizio, uno scenografo esperto di illusionismo pronuncia questa frase illuminante a proposito dei giochi di magia:

“Ogni numero di magia è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata “la promessa”. L’illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare che sia davvero reale… sì, inalterato, normale. Ma ovviamente… è probabile che non lo sia. […] Il secondo atto è chiamato “la svolta”. L’illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ora voi state cercando il segreto… ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ecco perché ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo “il prestigio”

Questo, in particolare, per la presenza del pillar “Promises”, ovvero l’impegno concreto che prende un “Agilista Disciplinato” nei riguardi del proprio team e dell’intera organizzazione. Ma è interessane come il toolkit abbia un ruolo proprio come quello dello scenografo di cui sopra: rendere espliciti i “trucchi”, e sfatare il mito che un framework o una metodologia, o una pietra filosofale che si voglia, possa essere la soluzione per ogni problema. Lo ribadisco da sempre: “Persone ed Iterazioni, più che processi e tool”, le organizzazioni sono fatte di Persone e queste sono la vera ricchezza delle stesse.

Ma torniamo al Disciplined Agile Mindset:

da mindset

The Disciplined Agile Mindset

Il DA Mindset è strutturato in 3 pillar: PrincipiPromesse e Linee Guida:

“Ci piace dire che crediamo in questi otto principi, quindi promettiamo l’un l’altro che lavoreremo in modo disciplinato e che seguiremo un insieme di linee guida che ci consentiranno di essere efficaci”

Vediamoli nel dettaglio:

  • I Principi, che guidano le azioni di un Disciplined Agile: Delight customers, Be awesome, Context counts, Be pragmatic, Choice is good, Optimize flow, Organize around products/services, Enterprise awareness. Sui principi non ci soffermiamo, visto che ne abbiamo già parlato abbondantemente qui, tranne se non per evidenziare che sono diventati 8, avendo aggiunto Organize around products/services, che pone il focus sullo stream di lavoro annesso ad un prodotto/servizio e frutto dell’integrazione con FLEX.
  • Le Promesse, ovvero l’impego che i “Disciplined Agilist” si assumono nell’adottare comportamenti che consentono loro di lavorare in modo più efficace:

    • Create psychological safety and embrace diversity, avere la possibilità di esprimersi, non solo in senso lavorativo, senza la paura delle conseguenze negative sullo status, sulla carriera o sulla propria autostima: bisognerebbe sempre sentirsi a proprio agio nell’ambiente lavorativo.
    • Accelerate value realization, migliorarsi costantemente per accelerare la creazione di valore.
    • Collaborate proactively, l’impegno di un “Agilista Disciplinato” è quello di sforzarsi a creare valore aggiunto in ogni sua azione, non solo rispetto alle attività individuali o quelle del team di cui fa parte.
    • Make all work and workflow visible, tutto il lavoro è costamene e trasparentemente visibili a tutti, così come il way of workingdel team.
    • Improve predictability, i team si sforzano di migliorare la predicibilità delle proprie attività, per consentire la collaborazione e l’auto-organizzazione in modo più efficace. In tal modo si aumentano le possibilità di assumersi impegni sostenibili nei confronti degli stakeholder.
    • Keep workloads within capacity, le attività su cui il team si ingaggia sono sempre bilanciate in relazione alla sua reale capacità contestuale.
    • Improve continuously, un team DA si impegna costantemente a individuare e sperimentare nuovi modi per migliorare i processi e il proprio way of working.
  • Le Linee Guida, che suggeriscono azioni concrete da mettere in campo:

    • Validate our learnings, l’unico modo per diventare “fantastici” è sperimentare ed adottare, se la sperimentazione ha dato esiti interessati, nuovi modi di lavorare in sinergia.
    • Apply design thinking, entrare in empatia con il cliente, ovvero provare a capire il suo ambiente e le sue esigenze prima di sviluppare la soluzione. 
    • Attend to relationships through the value stream, le interazioni tra le persone coinvolte in tutta la filiera produttiva (e non solo) sono fondamentali, indipendentemente dal fatto che facciano parte o meno del team specifico.
    • Create effective environments that foster joy, una strategia chiave, per raggiungere un ambiente sereno e piacevole, è quella di consentire ai team di auto-organizzarsi, scegliendo il proprio WoW (e come farlo evolvere), la struttura organizzativa e gli ambienti di lavoro stessi.
    • Change culture by improving the system, per migliorare costantemente un sistema, è fondamentale far evolvere sia le sue componenti, sia in senso assoluto che nelle interazioni relative tra esse.
    • Create semi-autonomous, self-organizing teams, anche se i team autonomi sarebbero l’ideale, bisogna sempre ricordarsi che ci saranno sempre dipendenze da altri team, sia a monteche a valle.
    • Adopt measures to improve outcomes, per sapere se si sta migliorando è fondamentale che i team scelgano ed utilizzino metriche che consentano di fornire approfondimenti su come stanno andando le cose, fornendo visibilità del tutto.
    • Leverage and enhance organizational assets, i team devono essere liberi non solo di adottare risorse pre-scelte (tipo tools), ma anche di scoprire come migliorarle, per se stessi e per gli altri, e sperimentare di nuove.

Come si può intuire, il mindset Disciplined Agile fornisce un ecosistema di base da cui iniziare, evidenziando come sia fondamentale non solo “essere agili”, ma anche “fare agile”, ovvero avere gli strumenti che permettono di concretizzare quanto promesso già dal Manifesto Agile: 

è meraviglioso avere persone che vogliono lavorare in modo collaborativo e rispettoso, ma se poi non sanno come farlo, non faranno molta strada! 

Ricordo, per chi è interessato ad approfondire DA ed avviare anche un percorso di certificazione, che è ancora possibile iscriversi al prossimo virtual workshop del 6 e 7 maggio.

 

Stay tuned J